Tutto l’ oro del mondo Di Guglielmo Aprile


TUTTO L’ ORO DEL MONDO DI GUGLIELMO APRILE

Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive ad Ischia, dove si è trasferito per lavoro, dopo aver soggiornato per diversi anni a Verona. 

Per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Boccaccio, Marino, Luzi, Caproni, oltre che sulla poesia del Novecento.

È stato autore di alcune raccolte di poesia, tra le quali “Il dio che vaga col vento” (Puntoacapo Editrice, 2008), “Nessun mattino sarà mai l’ultimo” (Zone, 2008), “L’assedio di Famagosta” (Lietocolle, 2015); “Il talento dell’equilibrista” (Ladolfi, 2018); “Elleboro” (Terra d’ulivi, 2019); “Il giardiniere cieco” (Transeuropa, 2019); “Falò di carnevale” (Fara, opera I classificata al concorso Narrapoetando 2021); “Il sentiero del polline”(Kanaga, opera I classificata al premio “Arcore” 2021); “Thanatophobia” (Progetto Cultura, opera I classificata al premio “Mangiaparole” 2021); “Tutto l’oro del mondo”, edito da Carabba, è la sua ultima opera. 

“La natura, il gheriglio della vita che va in cerca dell’alchimista – non a caso dell’“aedo”, del poeta-cantore – capace di coglierne e di dirne le meraviglie più manifeste e più segrete, le vibrazioni celesti e celestiali (l’“oro” del titolo), gli occultismi delle sillabe che si connettono e che consuonano in florilegi e rabdomanzie metaforiche. Il vino dei mattini, la cornucopia delle sensazioni, l’oceano mare, i regni sommersi dei fondali, la bellezza degli incanti, l’alto e il basso del mondo, il sotto e il sopra, la superficie e la profondità in una poesia – questa di Guglielmo Aprile, già di per sé un fiorire di nome – che non teme di cedere al suo entusiasmo vitale, di celebrare l’esistente festeggiando i suoi rituali, i suoi miracoli.” 

(Quarta di copertina di Giovanni Tesio)

Portiamo ai lettori alcuni versi tratti dal libro:

“Tutto l’oro del mondo”.

IL SOGNO DI CORTES

Lasciai un feudo nell’Estremadura,

in cambio della rischiosa promessa

degli alisei; feci vela a sud-ovest

sul deserto delle acque, e più in là terre

sconosciute, la giungla e le sue insidie

attendevano me e chi pose fede

nel mio delirio, settimane in marcia

tra febbri e sabbie mobili e liane

divoratrici, e tempeste di frecce

rovesciate da agguati di tribù

che ignoravano il cielo e le sue leggi:

pur di giungere, i pochi che fra noi

stremati a quell’epopea sopravvissero,

a una città, che qualche avventuriero

giurava d’aver intravisto splendere

oltre la Sierra e i suoi picchi di neve,

diceria vana, errore delle mappe

travisate – tutta battuta in oro,

i tetti le pareti i pavimenti:

l’oro essenza del bene incorruttibile,

raggio di luce solidificato,

goccia di sangue solare indurita,

ebbrezza dell’estate fatta pietra;

l’oro per cui si uccide si fa strage

o si impazzisce, si rinnega Dio,

oro miraggio di ogni sete umana,

frontiera che bracchiamo come ciechi,

che non ha nome e che non ha misura.

L’acqua impara a parlare proprio adesso,

la sorgente pronuncia

le prime parole del mondo;

sulle sue sponde, appena sveglio, il fiore

della dalia i propri occhi

fissa in quelli del sole.

Ora che sulla pianura i puledri

brucano inebriati un’erba azzurra,

ora che lo scirocco a perdifiato

si lancia per le strade delle nuvole,

ora che il sole indossa il suo mantello

ricamato di musiche e di spighe,

 la dalia sorride, e fa nuova

tutta la terra, fa che un’altra estate

nelle vene di rocce alberi e vento

resusciti quella scintilla

che divampando nel buio del tempo

innescò il fuoco di tutte le aurore.